di Vittorio Ferri*

L’articolo di Gianfranco Viesti che riprende il suo libro online pubblicato da Laterza concentra l’attenzione sui rischi del regionalismo differenziato, ma sottovaluta il ruolo dei vincoli e delle garanzie che guidano questo processo, i vantaggi collegati al decentramento (se le istituzioni regionali funzionano) e, perché no, l’opportunità di riattivare il cantiere del federalismo fiscale. Siamo in attesa delle Intese tra il Governo e le tre Regioni (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) che firmarono i rispettivi Accordi il 28 febbraio 2018, limitati a 5 materie rispetto alle 23 disponibili, (Tavola rotonda Aisre su intesa Stato-Regioni) e non sappiamo cosa ne resterà. Altre 10 delle 15 Regioni a Statuto ordinario (tutte, tranne Abruzzo e Molise) hanno iniziato questo percorso. Avremo un regionalismo differenziato à la carte? I governi recenti non hanno affrontato il problema della dimensione delle Regioni (la Commissione Lanzetta che se ne doveva occupare è fallita) e trascurato le disparità di efficienza e di efficacia dei sistemi sanitari regionali, la principale responsabilità delle Regioni, mentre in meno di un anno la Francia ha ridotto il numero delle Regioni da 22 a 12. Le motivazioni fornite per giustificare le richieste di maggiore autonomia sono sostanzialmente deboli, la specificità del territorio e le esigenze di sviluppo, con due eccezioni: l’Emilia Romagna ha spiegato le proprie motivazioni per ogni materia, il Piemonte ha evidenziato le proprie specificità economiche, sociali e territoriali. Formulo alcune osservazioni sulle criticità poste da Viesti.

Il processo decisionale. Si può discutere sull’opportunità dei referendum consultivi promossi da Lombardia e Veneto, ma non va sottovalutato l’impulso dato al processo negoziale con il Governo e all’azione delle altre Regioni. La Regione avvia la richiesta di nuove competenze, il Governo ha l’obbligo di attivarsi per pervenire a un’Intesa che deve dar luogo ad una legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti (art. 116 Costituzione, terzo comma). Questa scelta è necessaria. Il punto critico è che i parlamentari legiferano sulle competenze differenziate delle singole regioni e potrebbero avere atteggiamenti diversi a seconda del loro territorio di elezione. Tuttavia, l’azione congiunta delle tre Regioni ha evitato il rischio della riproposizione della sola differenziazione tra regioni ordinarie e speciali.

Le funzioni. Finora le richieste di autonomia sono limitate a segmenti di materie, ad aspetti organizzativi, regolamentari, di programmazione e pertanto determinano costi ridotti. La maggiore autonomia è circoscritta, poco visibile, non comparabile con le Regioni a statuto speciale. In pratica, l’uniformità negli Accordi ha prevalso per le politiche del lavoro, l’istruzione, i rapporti internazionali e con l’Unione europea, mentre per sanità e tutela dell’ambiente essi presentano solo lievi differenze tra le tre Regioni.

Le risorse. La loro assegnazione è la principale debolezza degli Accordi. Le Commissioni paritetiche Stato-Regioni che se ne dovranno occupare saranno soggette a vincoli costituzionali e normativi (ad es. l’impossibilità di alterare la perequazione interregionale). La strada da percorrere è la quantificazione delle risorse necessarie per il loro esercizio, escludendo ogni riferimento ai residui fiscali (la differenza tra le entrate e le spese statali pro-capite in ciascuna Regione) a cui si fa impropriamente riferimento per la determinazione dei fabbisogni standard. Resta un ragionevole dubbio: le Regioni davvero vogliono maggiori responsabilità e autonomia fiscale oppure solo trasferimenti finanziari, dunque rappresentanza senza autonomia?

Un elemento solo citato negli Accordi è la programmazione della spesa per investimenti e infrastrutture, prioritaria per sostenere la crescita economica, ma sempre secondaria per l’agenda politica piena di annunci, di politiche simboliche e per categorie di individui.

Il negoziato con il Governo può essere l’occasione per costruire la programmazione poliennale della spesa e il raccordo tra programmazione economica nazionale e regionale.

*Università di Milano Bicocca e di Pavia               vittorio.ferri@unimib.it

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