di Mariavaleria Mininni*

Sempre di più oggi sono messi in discussione i vantaggi effettivi e l’impulso che i Grandi Eventi possono portare alle città, ai territori e alle popolazioni coinvolte, ridimensionando le aspettative auspicate e piuttosto ponderando i rischi e gli impatti che da questi processi possono derivare. Anche maggiore è la difficoltà di valutare le ricadute del processo di investitura di una città a Capitale Europea della Cultura (ECoC) sullo spazio urbano e sulle torsioni dei valori patrimoniali tangibili e intangibili, sulle economie e sul miglioramento della qualità della vita degli abitanti, a partire dagli effetti delle politiche culturali e valori derivabili.

Ad oggi non ci sono modelli di analisi replicabili e ogni esperienza vale per sé stessa, non esiste una letteratura consolidata sulla valutazione dei risultati a breve, medio e lungo termine delle ECoC che sia anche strumento propositivo oltre che di controllo. Ogni città ha condizioni di contesto e specificità tali da rendere difficile l’apprendimento dall’esperienza. A tutto questo, nei tempi recenti, si aggiunga anche la messa in discussione delle cornici concettuali del significato di Europa e dei valori di solidarietà, condivisione, accoglienza su cui era fondato, condizioni che complicano le possibilità di risposta alle domande su cui le ECoC precedenti si erano interrogate: che cosa puoi dire all’Europa dalla tua città? Quale storia della tua città vuoi raccontare ai cittadini europei? E, di contro, che cosa l’Europa può dire alla tua città?

Vero è che: (i) manca un dispositivo europeo e nazionale di riconoscimento che possa mettere a valore l’intero processo attraverso azioni di sistema che invece lasciano in solitudine le città per ritornare sui luoghi solo per le verifiche dei risultati alla scadenza del percorso; (ii) mancano i dati per monitorare attraverso report codificati il bilancio dei processi delle altre Capitali europee della Cultura per imparare dalle esperienze; (i) non avviene il miracolo di coordinare le istituzioni se non ci sono consuetudini a farlo; (iii) eventi flagship come Olimpiadi o Expo, che hanno una durata inferiore e ben altri budget, presentano in maniera inferiore ai programmi della Capitale europea della Cultura il rischio di creare aspettative, programmi e spazi fuori scala o non altrimenti utilizzabili una volta conclusosi l’anno europeo (Mininni, Bisciglia, 2017).

Matera ECoC 2019 potrebbe essere banco di prova per proporre una revisione e aggiornamento del modello di valutazione delle città ECoC, osservando i processi di rapida trasformazione che stanno investendo una città del Sud Italia, in un territorio europeo in cui la crisi economica è diventata strutturale e fattore di polarizzazione, una città i cui valori della cultura hanno fortemente segnato in passato gli spazi, le economie e la società, un “iperluogo” vale a dire uno spazio sociale, politico ed emotivo (Mirizzi 2017), più di altri sottoposto ciclicamente ad una revisione dei significati dei suoi valori.

Le ambivalenze che possono generarsi come effetti non voluti, il sovradimensionamento di spazi che non corrispondono, passato l’evento, al consolidamento di pratiche e attività indotte, la banalizzazione degli immaginari e gli effetti perversi del turismo, sono alcune delle ragioni che richiedono oggi, sempre di più, di anteporre il processo di monitoraggio e di valutazione integrandolo alle fasi progettuali della proposta di candidatura, come planning legacy e post-legacy.

Adottando modelli pertinenti di rappresentazione e interpretazione di questa trasformazione, (Life satisfaction approach) lo scopo ultimo è quello di capire quanto la cultura dello spazio, in tutte le sue più svariate manifestazioni, si riverbera sulla qualità dell’abitare e sui livelli di benessere migliorando la vita delle persone e le loro aspettative.

*Dicem Unibas                                             mariavaleria.mininni@unibas.it

 

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