di Walter Vitali*

Finora si è discusso molto del come (Mes, eurobond, ecc.), ASviS invece propone che cosa deve far parte del Recovery plan nazionale dopo la decisione della Commissione Ue di finanziare con 750 miliardi di euro un grande Piano europeo per la ripresa (Next generation Ue). E lo fa con tempestività, prima della convocazione degli Stati generali dell’Economia da parte del Presidente Giuseppe Conte dai quali dovrebbero uscire le proposte italiane.

I presupposti sono tre. Occorre cambiare il modello economico dominante virando decisamente verso lo sviluppo sostenibile: illudersi che si possano ricostruire le condizioni economiche precedenti alla crisi da COVID-19 senza affrontare le sue cause ambientali e le sue conseguenze sociali ci esporrebbe a nuovi disastri nelle forme più diverse. C’è bisogno soprattutto di investimenti, sia pubblici che privati, in un arco temporale decennale capaci di stimolare la domanda interna e creare nuove opportunità di lavoro, quello che colpevolmente non fu fatto in Europa dopo la crisi dei debiti sovrani del 2008-2011. Le città e i territori sono oggettivamente il fulcro della svolta, poiché «la battaglia per lo sviluppo sostenibile si vince o si perde nelle città (Un, Sustainable development solution network SDSN)».

Il costo del Piano (201,7 miliardi di euro in 10 anni) è compatibile con la disponibilità di risorse europee e, se realizzato interamente, farebbe aumentare la spesa pubblica per investimenti di 20 miliardi all’anno mentre dal 2008 al 2017 è crollata di oltre 30 miliardi all’anno, da 61,7 a 31,3.

Il Pacchetto di investimenti per lo sviluppo sostenibile di città e territori (https://www.urbanit.it/wp-content/uploads/2020/05/DOCU_Investimenti_SvS-FINAL.pdf  ), allineato alle priorità della Commissione europea che i diversi Paesi saranno chiamati a declinare nei loro Piani nazionali, riguarda:

  1. transizione verde, per azzerare le emissioni nette di CO2 entro il 2050 come prevede il Green deal europeo. La riqualificazione energetica del patrimonio edilizio (30 miliardi) può essere conseguita rendendo strutturale l’ecobonus con tutte le modifiche proposte da Fillea-Cgil e Legambiente. A questa va accompagnata la messa in sicurezza del patrimonio abitativo a cominciare dalla Zona sismica 1 (27 miliardi), la prevenzione del dissesto idrogeologico (15 miliardi), il contenimento delle perdite della rete idrica (2,3 miliardi) e il miglioramento del trattamento delle acque reflue urbane (1 miliardo). Completano il quadro gli investimenti per la mobilità sostenibile nelle città (61,7 miliardi);

  2. trasformazione digitale, per diffondere connessione, competenze digitali e voucher anche per tablet e computer secondo gli obiettivi della Gigabit society 2025 europea (18,6 miliardi). Insieme vanno affrontati i temi della scuola, con la riqualificazione edilizia necessariamente connessa con l’innovazione didattica (17,2 miliardi di euro), e dell’Università, con un piano per nuovi insediamenti (1,9 miliardi di euro);

  3. sanità, per potenziare la rete delle strutture territoriali con le Case della salute, gli Ospedali di comunità, i Punti unici di accesso sociali e sanitari, le Centrali operative distrettuali e gli Hospice (17 miliardi);

  4. lotta alla povertà, a partire dagli interventi nelle periferie (10 miliardi di euro).

Vi è poi un compito specifico che compete ad un Centro studi come il nostro che tiene costantemente sotto osservazione le dinamiche del territorio italiano e ha discusso a lungo di ricerche importanti come quella sui Territori post-metropolitani (A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci, Oltre la metropoli, Miliano, Guerini e Associati, 2017).

La forma dell’urbanizzazione e dello sviluppo territoriale è fondamentale per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 a livello globale e per mettere un freno alla distruzione degli habitat naturali che è tra le principali cause della pandemia prodotta dal virus Covid-19. Anche in Italia si tratta di invertire la tendenza all’urbanizzazione diffusa, che è insostenibile per il consumo di territorio e per la domanda di mobilità individuale su auto che induce, rendendo le città compatte, vivibili e resilienti e invertendo la tendenza all’abbandono delle aree interne e degli antichi borghi.

Il contrasto alla dispersione insediativa nei territori intermedi, anche promuovendo la densificazione del già costruito con la rinaturalizzazione di parti di territorio a partire dai capannoni industriali dismessi, diventa perciò un tema cruciale della nuova stagione a cui l’urbanistica italiana non può far mancare il suo contributo.

*Direttore di Urban@it                                                                                              direttore@urbanit.it

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